
Gli Occhi nel Caldo di Pollock
Mentre dipinge questa opera l’artista sta facendo dell’action painting una nuova espressione dell’arte informale.
Jackson Pollock, nel 1946, ha trentaquattro anni e esperienze di pittore soprattutto nel campo della ricerca estetica.
È rimasto sempre fedele all’idea che l’artista, nel realizzare un’opera, fa un’azione che ha in sé un segno di confine tra il religioso, il magico e il sociale. Convinzione sviluppata studiando l’arte degli indiani del suo paese, secondo i quali eseguire un’opera equivaleva a compiere un atto “sciamanico” di cui l’opera stessa è documento e monumento.
In Occhi nel Caldo è il gesto che risalta il concetto: l’atto del dipingere è più importante del soggetto. È il dipingere il momento espressivo e non il dipinto.

Come l’opera dello Sciamano quella di Pollock non può compiersi in assenza di luce. Non chiaroscuri, nemmeno sfumature o ombre. La luce, in questo caso, è un battito compreso nel gesto e dato con il colore. La luce adesso è pittura e non più forma, ora è il tempo del dipingere e non più lo spazio.
Il colore, invece, diventa potente nella forza che nasce dall’accostamento dei contrasti: nero-rosso, giallo-azzurro, bianco-nero.
Le pennellate si avvolgono sotto il gesto che torna nella superficie stessa e si fanno testimoni della sua violenza e del suo andamento.

Tra la mano e le tela non c’è più spazio per il pennello. È la mano stessa che fa il colore nella tela.
Occhi nel caldo fa parte della collezione Peggy Guggenheim di Venezia.
Titolo originale Eyes in the Heat
Data 1946
Tecnica Olio (e smalto?) su tela
Dimensioni 137,2 x 109,2 cm
Collezione Collezione Peggy Guggenheim (Venezia)

